Governatore, Autorità lionistiche, amici Soci, dolcissime
Signore, graditi Ospiti.
Ancora una volta mi è stato affidato, questa sera, il gradito, ma non
lieve, compito di celebrare la ricorrenza della Charter Night del nostro Lions
Club di Roma Aurelium, la 42^ per la precisione. Gradito perché svolto
alla presenza della massima autorità lionistica distrettuale, il Governatore
Prof. Ing.Vincenzo Mennella. Non lieve perché mi impegna ad intrattenere
il cortese uditorio nel tentativo di non annoiarlo con una pedissequa e sbrigativa
elencazione dei meriti del prestigioso Aurelium, peraltro a tutti noti, primo
fra tutti al nostro Governatore. E poi non è mio costume: ben lo sanno
i miei amici Soci che mi sopportano da qualche anno.
Nell’accingermi a preparare questo mio intervento, mi sono tornate alla
mente le linee programmatiche del Governatore esposte nell’ultimo numero
della rivista “Lionismo”, dove è possibile leggere un forte
richiamo ad operare con il massimo impegno per salvare la vista a milioni di
persone, concentrando le raccolte di fondi su quella benemerita iniziativa quale
è il “Sight First”. Da qui ha preso corpo lo spunto per queste
mie riflessioni.
Poco più di settanta anni or sono, il grande Trilussa componeva questa
breve poesia, intitolata “Massime eterne”:
Ama er prossimo tuo come te stesso,
- diceva un Padre ar Fijo -
Vorrei che ‘sto consijo
lo ricordassi spesso.
Ma un tedesco, un francese?
- je chiese er Fijo - pure quello è prossimo?
E l’avrei da trattà come se fossimo
de lo stesso paese?
Sfido! - rispose er Padre - Sia chi sia.
Tutt’ar più, co’ la gente forestiera,
te potrai regolà ne la maniera
ch’ha stabbilito la Dipromazzia.
Tralascio la lettura del sonetto dedicato alla diplomazia per
ovvii intuibili motivi. Basti accennare al fatto che, oltre a parlare di tradimenti
coniugali, affida il mantenimento delle buone relazioni della nazione a “quarche
imbroijo e quarche furberia”.
Il considerare l’amore del prossimo come virtù, secondo quanto
affermato da Schopenhauer in un suo scritto, non era patrimonio dei filosofi
antichi. Dobbiamo al cristianesimo se verrà considerato una virtù,
perfino la più grande, e ad estenderlo anche ai nemici. Tuttavia in Asia,
mille anni prima, l’illimitato amore del prossimo era stato oggetto di
insegnamento sia come precetto che come esercizio effettivo.
Ma sull’amore del prossimo ho avuto occasione di esprimermi quando, nello
scrivere il capitolo “I motivi di una scelta” del libro dedicato
alla celebrazione del quarantennale del Club Aurelium, affermai che è
quel sentimento “…che impegna la coscienza al di fuori di qualsivoglia
credo religioso che inviti a ben operare nei confronti del prossimo con la prospettiva
di una ricompensa nell’ultraterreno: è sufficiente che l’individuo
veda nell’altro la proiezione esterna del proprio “io” perché
sia più che giustificata, se necessaria, l’esigenza di un atto
d’amore.”. Questo in estrema sintesi.
Tuttavia abbiamo sentito che nei versi di Trilussa, nell’indicare i destinatari
dell’amore, si pone l’accento, più che sulle persone, sulla
nazionalità delle stesse. E allora il discorso prende un’altra
direzione.
Intorno agli anni venti del secolo scorso, dopo la nascita della nostra Associazione,
della quale si festeggia quest’anno il 90° compleanno, videro la luce
i due documenti che rappresentano i pilastri su cui poggia tutta la vita del
Lionismo: gli Scopi del Lionismo e il Codice dell’Etica Lionistica. La
settima affermazione dell’Etica recita così: “Essere solidali
con il prossimo mediante l’aiuto ai deboli, i soccorsi ai bisognosi, la
solidarietà ai sofferenti.”
La solidarietà.
Cosa vuol significare questa semplice parola?
Confesso che, dovendo formulare una definizione, ho tentato di trovarla in quel
magnifico strumento che si chiama “Internet”. Bene! Provateci anche
voi. Esiste almeno una dozzina di pagine piene zeppe di indirizzi e sigle della
più diversa natura, tutti preceduti da una spiegazione diversa dalle
altre e chiusi da un invito a contribuire a fare o dare qualcosa. Allora ho
deciso di tentare di pescare nel bagaglio semivuoto della mia preparazione culturale.
Si fa per dire!
Il primo ricordo mi porta nel campo della giurisprudenza, dove possiamo trovare
il concetto di solidarietà intesa come condivisione di responsabilità,
sia attiva che passiva, in tema di obbligazioni. A proposito: non a caso la
radice etimologica di “solido” sembra essere la stessa di “soldo”.
Tuttavia, è naturale che non è questo il tipo di condivisione
che ci interessa questa sera.
Alcuni anni orsono, in un numero dei Quaderni del Lionismo, un Past Governatore
scriveva che la presa di coscienza della propria dignità di uomini da
parte di popolazioni, da sempre escluse dalla cultura e dal potere, stavano
creando sogni di rivalsa, accompagnati da sempre più frequenti conflitti;
sogni che avrebbero potuto trovare, da parte del resto del mondo, una giustificazione
ricorrendo al concetto di solidarietà, “…un concetto che
trae origine dalla constatazione che l’universo mondo è di tutti
e che tutti i suoi abitanti debbono trovarvi terreno fecondo di vita”.
E ancora: “Questa solidarietà, questo essere fratello degli altri,
è il valore fondamentale della nostra etica”.
A questo punto possiamo ben vedere che la solidarietà così intesa
è cosa diversa dall’amore del prossimo. E, tornando a Schopenhauer,
con lui mi sento di affermare che questo sentimento, definito dal filosofo tedesco
addirittura una virtù, mi impegna in una diretta partecipazione viva
e profondamente sentita e pura da ogni motivo egoistico, che mi porta a gioire
dell’altrui letizia e ad impegnare, in caso di sofferenza, “…le
mie forze fisiche o spirituali, la mia proprietà, la mia salute e libertà,
persino la mia vita.”
Liberato da qualsiasi connessione con “l’amore del prossimo”,
abbiamo così inquadrato il tema “solidarietà” e passiamo
quindi al suo svolgimento: come in concreto prende corpo la proposizione che
come valore, insieme all’amicizia, al rispetto di tutto ciò che
è “altro” e la comprensione, ha preso il posto delle crollate
conflittuali ideologie?
Innanzi tutto la capillare diffusione dei mezzi di comunicazione non consente
più alibi alcuno, da invocare per giustificare improbabili ignoranze
su avvenimenti e situazioni esistenti in qualsiasi parte del mondo. Su questo
argomento ha preso posizione anche Benedetto XVI il quale, nella sua enciclica
“Deus caritas est”, dopo aver sottolineato che i mezzi di comunicazione
hanno reso più piccolo il mondo, afferma che “…il fatto di
venire ora in modo più immediato a conoscenza delle necessità
degli uomini costituisce soprattutto un appello a condividerne la situazione
e le difficoltà.” E più avanti: “Superando i confini
delle comunità nazionali, la sollecitudine per il prossimo tende al allargare
i suoi orizzonti al mondo intero. Il Concilio Vaticano II ha giustamente rilevato
che tra i segni del nostro tempo è degno di speciale menzione il crescente
e inarrestabile senso di solidarietà di tutti i popoli.”
E proseguendo nella lettura dello scritto papale possiamo scoprire, con profonda
gioia, che in qualche modo siamo chiamati in causa anche noi, proprio laddove
testualmente afferma: “Un fenomeno importante del nostro tempo è
il sorgere e il diffondersi di diverse forme di volontariato, che si fanno carico
di una molteplicità di servizi. Vorrei indirizzare una particolare parola
di apprezzamento e di ringraziamento a tutti coloro che partecipano in vario
modo a queste attività”.
Parole che ci inorgogliscono e che ci spingono a sempre più e meglio
operare nel campo della solidarietà, anche svolgendo, talvolta, un’azione
di sussidiarietà nei confronti di istituzioni pubbliche - in primo luogo
lo Stato - che non sempre si mostrano all’altezza della situazione o per
carenza di mezzi o per inadeguatezza di normative ad hoc.
Un campo nel quale lo Stato sembra talvolta balbettare è rappresentato
dal fenomeno della immigrazione che offre alla pubblica opinione, e al volontariato
in particolare, motivi di perplessità circa il livello di solidarietà
da impegnare; opinione pubblica che si divide tra un solidarismo totale “senza
se e senza ma” e un altro più oculato e selettivo.
Sicuramente quando due o tre lustri orsono se ne verificarono le prime avvisaglie,
non furono assunte iniziative mirate e acconce: si credette di poter arginare
la emigrazione da paesi che avevano conosciuto, e conoscevano ancora, fame e
miseria inondandoli di cibo e altri generi di consumo, non avvertendo che questo
modo di agire non avrebbe di certo contribuito ad affrancare quelle popolazioni,
anche da una concezione arcaica e non più sostenibile della produzione
della ricchezza.
Un grazioso fumetto pubblicato a pagina 12 del primo numero della rivista Lionismo
di quest’anno compendia con efficacia un discorso che rischierebbe di
essere senza fine: “Se a un uomo che ha fame dai un pesce, lo sfami per
un giorno, se gli insegni a pescare, lo nutri per la vita.”
Comunque non possiamo non riconoscere quanto obbiettivamente vi è di
diverso nei due flussi di immigrazione che stanno coinvolgendo l’Europa
e in particolare il nostro Paese. Dai paesi del Sud arrivano popolazioni che
hanno vissuto sulla loro pelle secoli di dominazione e di schiavitù.
Si calcola che in tre secoli l’Africa abbia visto oltre 50 milioni di
uomini e donne trasformati in schiavi. E il colonialismo è stato proprio
duro a morire. Vi invito a leggere il libro di Henry Wesserling – La spartizione
dell’Africa negli anni 1880-1914 – e avrete appena un’idea
della rapacità di molti paesi europei.
Ma in questo momento, se verso le popolazioni del Sud è possibile che
le istituzioni assumano atteggiamenti fermi e disinvolti perché stranieri
extracomunitari, altrettanto non è possibile verso quelle persone che
oggi sono, a tutti gli effetti, cittadini europei come ciascuno di noi, titolari
di diritti e di doveri comuni. Ma sul valore e sull’esercizio di questo
termine mi fermo e abbandono un argomento che rischia di divenire alquanto scivoloso
e pieno di insidie, più ideologiche che pratiche.
Però desidero prima tentare, con un irrispettoso colpo di mano, ai tre
esempi enumerati nella settima esortazione dell’Etica, di aggiungerne
un quarto: la solidarietà alle istituzioni pubbliche, non raramente fatte
oggetto di attacchi sconsiderati e di vilipendio verbale inaccettabili e non
sempre adeguatamente sostenute e ringraziate. E’ cronaca di questi giorni.
Il Club Aurelium, sotto la presidenza del carissimo Walter Locatelli, ritenne
di dover contribuire ad ovviare a questa carenza, organizzando quella stupenda
manifestazione di solidarietà che tutti ricordiamo: “Un Esercito
per la Vita”. Era il maggio 1993!
Intendo invece recuperare uno spunto offertomi dalla prima citazione della enciclica
papale e più precisamente laddove si parla dello sviluppo dei mezzi di
comunicazione. E ciò perché mi offre l’occasione di portare
il mio intervento più in linea con questa serata, che vede la presenza
del nostro Governatore il quale, nelle sue linee programmatiche che possiamo,
come detto all’inizio, leggere nel recente numero di Lionismo, pone tra
l’altro in giusto risalto l’esigenza di una comunicazione più
pronta, precisa e diffusa. E ciò per conseguire il più ampio consenso
popolare, rendendo meglio noti i risultati del nostro impegno perché,
cito. “…una qualsiasi realtà diventa di fatto un problema
sociale e quindi di tutti solo se arriva alla coscienza comune.” E nel
porgere alcuni esempi concreti, propone quello di diffondere il più possibile
il “marchio lions”.
Caro Governatore, consentimi, a nome del Club Aurelium, una piccola ma orgogliosa
rivendicazione. Il “marchio lions Aurelium”, oltre ad essere presente
all’interno di molti edifici, specialmente in quelli adibiti alla sanità
pubblica e privata – e l’elenco sarebbe lungo da ricordare –
da molti anni circola per le strade di Roma, riportato su auto e moto utilizzate
da istituzioni pubbliche e private e dal 2001 sta a contrassegnare, nel quartiere
romano Aurelio, un parco dedicato a Melvin Jones.
Ma, sempre caro Governatore, come se volessi questa sera avvalermi, in maniera
estemporanea e sconsiderata, di un diritto di critica e di immunità,
mi permetto di constatare con quanta parsimonia però il nostro Multidistretto
si adopera per la diffusione del nostro marchio. Basti notare che scorrendo
il rendiconto delle entrate e delle uscite dell’esercizio finanziario
2004-2005, a fronte di circa due milioni di euro movimentati, la voce “Comunicazione
Immagine” fu finanziata con appena settemila euro. La circostanza fu oggetto,
il 26 marzo dello scorso anno, di una mia lettera alla rivista “Lionismo”,
pubblicata integralmente e commentata timidamente. Mi si potrebbe obiettare
che l’immagine non si ottiene comprandola, ma con i services che sono
in grado di lasciare il segno. Orbene: nel febbraio del 2006, la rivista “The
Lion” ospitava la lettera di un Lions il quale scriveva che, per evitare
delusioni, rinunciava a leggere l’elenco dei tanti services varati annualmente
dal Multidistretto. Fine della immunità, in tutti i sensi!
Rientrando disciplinatamente in riga e rinunciando, almeno per il momento, a
qualsiasi pronunciamento sud-americano, possiamo garantirti, caro Governatore,
che il nostro Club Aurelium, per tradizione e per consenso, non può non
accogliere il tuo invito espresso nelle linee programmatiche della tua consiliatura
e si impegna a farle proprie.
“Hora est eundi”. E’ tempo che io ponga fine al mio dire,
prima che il Cerimoniere alzi il cartello “STOP”. Però vorrei
chiudere con le parole di Adam Smith, il campione del liberismo individuale,
colui che affermava che ogni operatore economico agisce sul mercato mosso esclusivamente
dal suo interesse individuale, il fondatore della scienza economica. Eppure
il filosofo scozzese, oltre due secoli e mezzo fa’ scriveva:
“Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono chiaramente presenti
nella sua natura alcuni princìpi che lo rendono partecipe della fortuna
altrui, che rendono per lui necessaria l’altrui felicità, nonostante
che da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla.”
Non è forse questa la perfetta definizione di solidarietà?
Vi ringrazio. (Enzo Maggi)
Roma – Grand Hotel “Parco dei Principi” – 22 novembre
2007